Il prodotto ‘arte’ è senza dubbio uno dei più ostici fra tutti i settori che l’advertising si trova ad affrontare quotidianamente. Le figure chiamate a comunicare l’universo arte, in particolare gli eventi sul tema, si trova a dover gestire una dinamica che è stretta tra due poli che rappresentano gli obiettivi principali, che a loro volta sono collegati ad altri due sotto poli contenenti altri due temi secondari ma essenziali.
I macro argomenti sono:
1) L’arte in sé. E’ facile comunicare a chi è già interessato all’arte perché è un naturale recettore rispetto a questo tipo di messaggi. Meno facile avere la pretesa, ma direi più la necessità, di dover dialogare con chi è moderatamente interessato all’arte, che non è certo un argomento mainstream, soprattutto nella nostra epoca.
2) Comunicare del sapere. Il nostro cervello è costruito per (cito uno youtuber) essere in continuo risparmio energetico. E se ci sono fette di popolazione che sono golose e attratte dal sapere in sé, molto superiore è il numero di fette che se va bene pensano al sapere solo come aggiornamento delle proprie attività lavorative o carrieristiche.
I sotto argomenti sono:
1) La commercializzazione dell’evento specifico. Quando devi lanciare un evento hai la necessità di modulare il messaggio verso due tipi di persone: quello che non è propriamente appassionato di arte ma un salto lo farebbe e quello che invece è già potenzialmente fruitore di arte. Nel primo caso bisogna lavorare su due livelli:
a_ quello del primo macro-polo, cioè comunicare il valore che l’arte può avere nella vita di tutti
b_ il valore contenuto nell’evento di cui si parla.
2) La vendita del manufatto. Chi espone ha necessità di vendere i propri manufatti. Ma ciò va oltre il guadagno in sé, che comunque è un driver fenomenale affinché questi eventi possano ancora esistere (no artisti, non party). L’artista è infatti anche attratto anche dal potersi confrontarsi, testare il proprio percorso con un pubblico in continuo cambiamento. Ricevere complimenti fa piacere ma spesso sono generici quindi sterili e non sempre profondamente sinceri. Meglio vendere un opera senza ricevere complimenti che riceverne a pacchi ma senza l’ombra di una vendita andata in porto
Il senso di questo ragionamento è solo illustrare la complessità che accompagna l’universo arte, i livelli che lo compongono. Un’automobile ha dei valori ben definiti, chiari. Un biscotto ha poco da capire, buono o non buono, kilocalorie e via. Un’opera non è così: va prima capita e se non capita inizia il percorso per invitare un pubblico a spostarsi per arrivare a capirla. Se non è un’impresa questa, allora proprio non lo so.