di Lucio Braglia
Buono/cattivo, bene/male, alto/basso, bianco/nero, bello/brutto, e si potrebbe continuare all’infinito. Nell’accezione comune sono tutte dicotomie, rigide suddivisioni dove l’una parte escluderebbe l’altra, in una visione manichea, nonostante le quotidiane smentite che di questa forma mentis ci giungono da una moltitudine di esempi nei quali le alternative convivono, si contaminano, a volte persino armonizzano. Esiste una zona grigia, una terra di nessuno senza limiti netti e definiti: dalla banale definizio-ne secondo la quale non esistono il bianco e il nero, ma solo infinite tonalità di grigio, alla necessità del Male per giustificare il Bene di alcune interpretazioni religiose.
La negazione implicita nel termine Negativo effettua in realtà una esclusione di possibilità che non implica di per sé la sussistenza di una entità positiva corrispondente e il più delle volte si tratta di una possibilità formulata soltanto allo scopo di escluderla. Da Aristotele in poi la tradizione logica successiva ha conservato questa dottrina e questo signifi-cato di divisione di qualcosa da qualcosa, soltanto i seguaci della teoria del giudizio come assenso (Rosmini, Brentano, Husserl) hanno considerato la negazione come atto di diniego, rifiuto o ripudio (Verneinung) di una rappresentazione o di una idea.
Dall’altro lato, Positivo è ciò che è posto, stabilito o riconosciuto come un fatto, quello che Leibniz chiamava “Verità Positiva” per distinguerla dalla “Verità di Ragione”, a designare il fatto o la realtà riconosciuta o riconoscibile come tale in virtù di un metodo obiettivo. È quello che ha fatto affermare a Auguste Comte (1798-1857) che “Considerato nella sua accezione più antica e più comune, la parola Positivo designa il reale per opposizione al chimerico” (Discours sur l’esprit positif). Significativo che il fondatore del Positivismo (termine in realtà utilizzato per la prima volta da Saint-Simon per designare il metodo esatto delle scienze e la sua estensione alla filosofia) abbia usato il termine “chimerico”, non il termine “negativo”, in contrapposizione al metodo della scienza diretto al riconoscimento puro e semplice dei fatti e dei loro rapporti.
Risultato Negativo di un esperimento significa l’esclusione di una certa possibilità di interpretazione o di spiegazione. Effetto Negativo di una certa operazione significa l’esclusione di ciò che ci si aspettava come possibile. Atteggiamento Negativo nei confronti di una dottrina o di una cosa qualsiasi è l’atteggiamento che esclude la possibilità che la dottrina sia vera o che la cosa abbia un valore qualunque.
Illuminante è la distinzione operata da Friedrich Schelling (1775-1854) fra le condizioni Negative della conoscenza, che sarebbero quelle senza le quali la conoscenza stessa non sarebbe possibile, dalle condizioni Positive che sarebbero quelle per le quali la conoscenza diventa effettiva: secondo il filosofo tedesco le prime sono le forme razionali dell’essere e dicono ciò che l’essere può o deve essere, le seconde esprimono l’esistenza stessa e consistono sostanzialmente nella volontà di Dio di
manifestarsi (Werke).
Un’altra falsa dicotomia è quella che vede contrapposte Saggezza e Follia e qui è d’obbligo lasciare la parola a Erasmo da Rotterdam (1466-1536): “[Il saggio stoico, ndr] Egli è sordo alla voce dei sensi, non sente alcuna emozione, l’amore o la pietà non fanno alcuna impressione sul suo cuore duro come diamante, nulla gli sfugge, mai non dubita, la sua vista è da lince, tutto pesa con la massima esattezza, non perdona nulla; trova in sé stesso la sua felicità, si crede il solo ricco della terra, il solo savio, il solo re, il solo libero: in una parola si crede il tutto; e il più bello è che è il solo a credersi tale”. Ora, si domanda Erasmo, chi non preferirebbe a questo saggio “un uomo qualsiasi, tolto alla folla degli uomini pazzi, il quale, per quanto pazzo, sapesse comandare o obbedire ai pazzi e farsi amare da tutti; e che fosse compiacente con la moglie, buono con i figli, allegro nei banchetti, socievole con tutti quelli con i quali convive, e infine che non si credesse straniero a tutto ciò che appartiene all’umanità?”. Questa forma di follia è tanto più umana e laica, non per nulla L’Elogio della Follia è uno dei documenti più significativi del Rinascimento. Scritto nel giro di una settimana mentre si trovava in Inghilterra ospite dell’amico Tommaso Moro (il titolo originale Moriae encomium è un gioco di parole che può significare anche “encomio di Moro”) nelle intenzioni di Erasmo il testo voleva essere soltanto un libello ironico e divertente: è la Follia personificata a parlare e a fare l’elogio di sé stessa di fronte a un pubblico che appare molto divertito e mantiene nel discorso una costante ambiguità, presentando le sue affermazioni non solo come folli, ma anche rivelatrici, sotto l’apparenza scherzosa, di una profonda e seria verità. I secoli che sono seguiti hanno dimostrato la forza e l’incisività dell’ironia.
Se è vero, come ancora Erasmo sostiene, che “Le idee migliori non vengono dalla ragione, ma da una lucida, visionaria follia”, probabilmente l’esempio più significativo di declinazione Negativo/Positivo nell’arte figurativa è il progetto di Bruno Munari del 1950. L’opera, realizzata su carta di taglio rettangolare, è composta da una serie di schizzi geometrici costituiti di base da quadrati tracciati a matita all’interno dei quali sono individuati altri elementi geometrici, che in alcuni casi generano dei veri e propri andamenti a meandro. Alcu-ni di questi quadrati hanno un completamento cromatiCo, rosso, marrone e nero, realizzato a tempera con una stesura dei colori estremamente curata, tanto che i segni appaiono sottili e uniformi. Realizzata da Munari durante il suo periodo di militanza all’interno del Movimento d’Arte Concreta (MAC) questa fragile opera di carta nella ri-cerca pluridisciplinare munariana, secondo le parole di Marco Menguzzo, “intende lasciare lo sguardo libero di scegliere le proprie priorità visive, costruendo campi cromatici forti e contrastanti, ma puramente, fisicamente e percettivamente bidimensionali”. Sublime dimostrazione di quanto complicare è facile, semplificare è difficile.