di Heron Hernandez Quiroga
Nell’Artificio si respira un’atmosfera particolarmente fertile e interessante. Esperienze artistiche provenienti da geografie e realtà generazionali diverse generano affinità tecniche, tematiche sociali, culturali e globali. Tutte le discussioni precedenti ad ogni presentazione hanno contribuito fornendo punti a favore del gruppo per ottenere idee potenti. Il confronto e la comunicazione critica da diversi punti di vista sono costantemente ricercati. Per chiarire le linee guida da seguire parliamo sempre di cose diverse e coerenti con gli argomenti selezionati. In ogni incontro, alcune di queste idee si sono materializzate durante tutto il processo, altre sono state progressivamente rafforzate. Tra le tante è rimasta fissa una curiosa opposizione che potrebbe offrire ancora riflessioni sulla contemporaneità: negativo-positivo. È questo il contesto da cui è emerso il fil rouge di queste opere esposte presso la sede del Tecnopolo di Reggio Emilia.
La successiva ricerca sulle modalità dei possibili rapporti tra negativo e positivo ha generato un dibattito sulle diverse soluzioni rappresentative e sulle diverse opzioni tecniche. Alcune delle domande che hanno animato la discussione sono state: cosa possiamo intendere per positivo? Cosa possiamo intendere per negativo Potrebbero semplicemente essere punti di vista relativi di cui abbiamo bisogno per leggere e interpretare i messaggi dell’esistenza quotidiana? Sono parametri per determinare i valori di fenomeni, persone, animali e cose? Serve questa opposizione a controllare le identificazioni ideologiche, le posizioni religiose, le condizioni sociali e le caratteristiche materiali ed economiche o solo per raggiungere un equilibrio strutturale di alcuni tipi di narrazioni socialmente utili per l’esercizio del potere? Sono questi due criteri gerarchici per polarizzare e manipolare l’opinione pubblica? Alcuni artisti e artiste l’hanno interpretata come una possibile contraddizione, altri come una dicotomia; alcuni l’hanno letta come un’antitesi, altri vi hanno visto una simmetria complementare, un conflitto, un’ambivalenza, un’opposizione, un condizionamento, un’epoca, un chiaroscuro, un cambiamento, un paradosso, un ossimoro, due poli che si respingono e si attraggono.
L’essenzialità dell’argomento, però, lungi dall’essere esaustivo e totale, porta il gruppo a porsi altre domande: siamo preparati al declino del mondo, a vivere questa metamorfosi generazionalmente condivisa e a poter parlare positivamente o negativamente del futuro? Si è cercato di materializzare linguaggi riconoscibili e accessibili a tutti per provare a svelare alcuni dei significati che potrebbero evocare il negativo o il positivo. Perché i contenuti fossero coerenti con le immagini costruite, è stato necessario approfondire le proposte, interpretare il presente, evitando risposte convenzionali e confezionate, trascurando luoghi comuni e nuovi miti. Diverse narrazioni visive hanno consolidato le loro affinità con il tema, costruendo concetti più efficaci in condizioni di deferenza culturale. Potremmo dire con sicurezza che si è utilizzato l’occorrente per aprire altre porte molto sfuggenti, stabilire altre relazioni estetiche tra i nostri prodotti artistici e i modi in cui vengono percepiti.
Consideriamo allora, ipoteticamente, un passaggio essenziale per avvicinarci al nocciolo della questione di questo nostro compito operativo: il difficile fatto di mutare la propria pelle, di spogliarci temporaneamente della propria condizione creativa, per spostarsi dall’altra parte del fiume, dal lato del pubblico e vestire l’abito dello spettatore, percorrere la sua strada che già tende più verso la semplicità e la sintesi, dove tutto sembra più facile in apparenza, dove le complicazioni si lasciano indietro. Lì dove si apre davanti a noi quel sentiero silenzioso verso la leggerezza. Quel luogo allogeno dove l’accettazione del problema di risolvere un enigma come il negativo o il positivo si trasforma in un oggetto che, materializzato, è meno complesso da affrontare, possibilmente senza rassegnazione o preoccupazioni. È allora che la convivenza con detto oggetto gioca un ruolo notevole nella costruzione del linguaggio visivo, perché ci interessa comprendere meglio questo rapporto minacciato dalla rapida capacità del soggetto di prendere le distanze, di potersi separare radicalmente da qualsiasi opera d’arte, lasciando irrisolto il problema che configura la rappresentazione dell’oggetto per la mancanza di una relazione più stretta possibile, unica ad essere designata con questa coppia di parole (positivo negativo) e che attualmente sembra racchiudere buona parte della nostra attenzione. Ma non tutti gli spettatori sono radicalmente separati dall’obiettivo di discernere il messaggio all’interno delle opere, alcuni addirittura si legano in un nodo gordiano senza esitazione davanti a qualsiasi pezzo che li scuota. In quanti saremo? Non si sa.
Potremmo così iniziare ad assorbire i pensieri degli altri, fermi e attenti nell’osservazione attenta del lavoro dei colleghi artisti, cercando di percepire senza giudicare. Lasciarsi andare nell’atto di guardare, ascoltare, sentire, osservare, apprendere, potenziarsi per comprendere e riuscire così a sorridere insieme. Ma vedere è una cosa, osservare è un’altra, e guardare con leggerezza non significa guardare superficialmente. La prima consiste nello spogliarsi dei pesi: scrupoli, luoghi comuni, pre determinismi, convenzioni, imposizioni, ma soprattutto dei pregiudizi e dei blocchi che ci impediscono di percepire liberamente; la seconda significa guardare senza informazioni, senza attenzione, senza interesse, senza curiosità, dove la capacità di stupirsi e sorprendersi del miracolo è già atrofizzata, corrotta dall’incapacità di vedere oltre le apparenze. L’esperienza di osservare con attenzione un’opera artistica invece, può risvegliare in noi sensazioni, emozioni, sentimenti, idee, intuizioni, conferme, smentite, come quando leggiamo un libro? E se sì, dovremmo dedicare più tempo alla lettura di un’opera artistica, leggendo in modo approfondito le immagini che ci vengono presentate? È vero che quando andiamo in una biblioteca non possiamo pretendere di leggere tutti i libri che contiene contemporaneamente, perché richiede troppo tempo. Nel museo, nella galleria o nella sala espositiva, invece, lo spettatore dà uno sguardo brevissimo per “leggere le opere” in poco tempo. Sebbene le opere artistiche abbiano spesso molti significati importanti e profondi, poche persone forse sono in grado di coglierli. C’è sempre un pizzico di curiosità in questa operazione che ci porta a voler approfondire il processo di relazione con l’opera, più che il risultato, l’effetto effimero che può avere su di noi. Ma se la nostra percezione superficiale si ferma solo al prodotto finale, all’effetto che fa l’oggetto presentato, allora vorrà dire che abbiamo bisogno di artisti che sappiano creare esperienze di osservazione più profonde o significative, ma soprattutto che possano durare nel tempo. Queste esperienze magari potrebbero essere influenti, cambiando il corso del nostro modo di vedere, o forse si basano su un addomesticamento percettivo formatosi in famiglia, regolato a scuola e sedimentato nel nostro ambiente sociale più vicino. Se la nostra percezione è in parte il risultato delle condizioni formative ed esperienziali del nostro modo di vedere il mondo, forse questa non è la vera totalità della nostra visione, ma piuttosto una frazione. Questa considerazione, se data per scontata, potrebbe crearci complicazioni per interpretare e comprendere meglio ciò che stiamo vedendo, probabilmente perché vedere la realtà in modo frammentato non può darci un contenuto vero, un senso di totalità, una comprensione globale o una conoscenza generale.
Pertanto, il fatto che i dubbi dominino la fase di progettazione, si estendano a quella di produzione per poi espandersi a quella di restituzione attraverso lo sguardo e i criteri finali del pubblico, è un’occasione per discernere meglio l’intreccio che compone la complessità del lavoro artistico. Ma non è tutto, la risposta a queste domande non sarà mai una sola, né positiva né negativa. La necessità di ricerca è ancora lì. È impossibile fare tabula rasa e ricominciare daccapo come se nulla fosse successo. Nemmeno gli artisti possono farlo e tanto meno il pubblico. A parte questo, ci sarà sempre qualcosa da dire nel difficile compito di dare nuove risposte ai problemi concettuali che la pratica artistica costantemente ci pone. Anche quando non sappiamo esattamente quali saranno i contenuti che potrebbero dare voce ad un argomento come quello che abbiamo scelto, così vario e senza confini, possiamo comunque offrire alla collettività le nostre soluzioni artistiche. Sarebbe però rischioso cogliere un concetto così ampio come negativo e positivo senza discuterne o confrontarsi, senza porsi domande, senza esporre possibili problemi, poiché la questione sembra racchiudere tutto e niente allo stesso tempo, a maggior ragione nella comune materialità di un’opera d’arte individualistica.
A questo punto potremmo delineare più o meno la nostra azione culturale, delineare con precisione alcuni valori di contenuto, esercitare un coordinamento di idee funzionali sufficiente a spiegare con moderazione il loro significato sfuggente tra il negativo e il positivo, trovare la critica che avverte e genera dialogo, che propone nuove letture. Forse in fondo a questo circolo tematico della percezione del positivo e del negativo stiamo ancora alimentando un dibattito con l’intenzione di dare risposte tangibili ma irreali, non per questo meno importanti, proprio perché cerchiamo ossessivamente di trovare soluzioni, magari anche in altri luoghi, a costo di ribaltare qualcosa che non ha soluzioni, con la perseveranza limitata della professione. Ecco perché l’idea negativa positiva è efficace a tutti i livelli.