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POSITIVO / NEGATIVO: IN CHE SENSO?

di Daniele Lunghini
Nel 1920, il regista russo Lev Vladimirovič Kulešov utiliz-zò la tecnica del montaggio cinematografico per dare una definizione a una dinamica cognitiva, quindi psicologica e quindi sociale. In un breve film alternò alcune sequenze (una bambina defunta, un piatto di minestra e una donna seducente) al primo piano, sempre il medesimo, di un uomo inespressivo che guardava direttamente in camera. Fece quindi proiettare il film a diversi gruppi di pubblico registrandone poi le reazioni. Per dare un’idea, io ho ricostruito le inquadrature con Midjourney, ho sostituito solo la bambina con una donna adulta. Nella sequenza con la bambina in una bara il pubblicò ebbe l’impressione che l’uomo fosse addolorato e impaurito. Nella sequenza con il piatto di minestra risultava affamato. In quella dove una bella donna ballava, il pubblico gli riconobbe uno stato voluttuoso.


Perché ho usato questo evento per rappresentare l’argomento di questo anno, Negativo/positivo? Proprio come nel logo il segno negativo nella parola positivo e quello positivo nella parola negativo stanno a indicare la copre-senza dell’uno nell’altro, anche qui si dimostra che un elemento al quale si associa un valore positivo al 100%, all’interno di un contesto può cambiare di natura, effettuare un’evoluzione di gene e diventare negativo. La domanda che nasce quindi è se ha senso attribuire alle due definizioni un valore. Forse dovremmo percepire queste due parole come quando ascoltiamo le parole alba o tramonto. Alba non è positivo e tramonto non è negativo. Certo, la nostra bizzarra abitudine di voler assegnare una significato a determinati momenti della vita ci fa pen-sare al tramonto come alla fine di qualcosa (di una carriera, di un amore) e alba come all’inizio di qualcosa (una nuova vita, una nuova carriera). Ma il tramonto è necessario per far riposare gli esseri, per resettare il cervello, per ricercare nuove
prospettive. E l’alba? E’ buttarsi giù da un profondo riposo, è il fastidio del caldo in una bollente giornata d’agosto. Positivo e negativo, tassonomici cliché che non reggono neanche il cambio dei tempi. Rimangono centri polari di riferimento, come destra e sinistra (esclusivamente nel senso di svolte nelle strade, Dio mi sia testimone) o come caldo e freddo.


Ma ora invece scopriamo, come per magia, come le parole di cui ho appena debilitato la funzione addivengano ad altre estremamente utili. Prendiamo il positivissimo rsacchiotto di pezza. Andiamo a posarlo su macerie e lo vedremo rappresentare l’innocenza violata dal male degli adulti. Mettiamolo in una casetta di Barbie e lo vedremo riaccendere la forza dell’immaginazione degli occhi di un bambino, la potenza di un ambiente a misura di infante. Ma ecco che, alla fine, scopriamo l’ennesima verità. Inseriamo dentro una basica confezione di cartone, di quelle di prodotti che arrivano a casa nostra da terzi mondi. Scopriremo che è una pezza di infima qualità, assemblata da figli di favelas, minorenni e disperati. Negativo e positivo diventano semi di significanti radicati, come direbbe il Duca di Mantova, “qual piuma al vento”.

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